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MARCO PASSIGATO. HO VOLUTO LA BICICLETTA. E ADESSO, PEDALO!

3 - Marco 8 agosto 2009Chissà se è un bel lavoro fare il mobility manager di un grande ente pubblico. Me lo chiedevo da un po', perché la figura professionale del responsabile della mobilità – introdotta con un decreto interministeriale del 1998 – a prima vista sembra qualcosa di non proprio piacevolissimo. Stiamo parlando di un signore che, pur legittimato da una cosa seria e importante come l'istituzione per legge del suo incarico, cerca di ottimizzare gli spostamenti sistematici dei dipendenti, con l'obiettivo di ridurre l'uso dell'auto privata "anche" nei tragitti casa-lavoro. Insomma, stiamo parlando di un signore che, pur legittimato eccetera eccetera, finisce per farsi gli affari vostri. Ci sono i mezzi pubblici – ma funzionano, da qualche parte, nel Bel Paese? – e poi ci sono il car pooling e il car sharing. O anche il bike sharing, che comunque comporta sempre che io debba pedalare. E che qualcuno si faccia gli affari miei.
Allora, non è che un mobility manager sia simile a un nevrotico agente delle tasse? È ben noto che, noi italiani (ma che fastidio, oggi nella pubblicità ci chiamano the italians! Ma siamo sempre gli stessi, quel popolo di poeti, santi e navigatori; anche un po' spacconi e contaballe, da qualche anno a questa parte) noi italiani, dicevo, siamo un popolo che non ama le tasse.
Sospinto da questi pensieri, eccomi nella casa-studio di Marco Passigato, per abbozzare il mio ritratto del mobility manager dell'Università degli Studi di Verona. Se dalla Storia dell'arte ho imparato qualcosa osservando e studiando i ritratti del Rinascimento, questo è il valore dei particolari per evidenziare "quello che la figura ha nell'anima" perché un ritratto possa essere specchio delle emozioni, dei pensieri e delle inquietudini (Oh! tranquilli ragazzi, mica mi sento come il Parmigianino che il carattere del suo Galeazzo Sanvitale ce l'ha delineato con lo sfondo, armi e corazza, e con i particolari di guanti e moneta che il conte-condottiero tiene in mano!).
Dunque, la casa-studio di Marco. Un'oasi di tranquillità e di silenzio, dove non si percepisce nemmeno in lontananza il rumore del traffico che incrocia a una decina di metri, in strada. Un ambiente sereno, un tavolo da disegno, perché lui è laureato in ingegneria e, oltre all'impiego part time all'Università, si occupa professionalmente della progettazione e dell'esecuzione di piani del traffico e di piste ciclabili un po' in tutta Italia. Mi racconta di sé, dei suoi viaggi in tutta Europa fin da quand'era ragazzo e della sua passione per la montagna, per lo sci alpinismo e per le lunghe camminate fino ai rifugi montani sulle vette più alte. Poi la bicicletta, gioco e divertimento nel grande cortile della casa paterna quand'era bambino e poi, via via, mezzo di trasporto sempre più insostituibile col passare degli anni. La salutare abitudine all'esercizio fisico si nota anche nella corporatura, snella e asciutta, che sicuramente trae in inganno quanto alle cinquantasei primavere ormai raggiunte. E non è da meno sua moglie – da una trentina d'anni anche compagna di passeggiate su strade e sentieri – che, ad un tratto, silenziosissima anch'ella, si materializza nello studio con qualche bibita. Parliamo di lunghi percorsi a piedi e in bicicletta, di piste ciclabili e sentieri alpini; e ogni volta mi sorprende prendendo, dalla libreria dietro le sue spalle, una mappa che, abilmente, spiega sul tavolo davanti ai miei occhi, indicandomi percorsi, mulattiere, località e rifugi. Quasi a voler ricordare sulla cartina quel suo aver visto una buona parte del mondo con gli occhi assetati di scoprire che di solito hanno tutti coloro che si muovono alla tranquilla velocità della bici o delle proprie gambe. «Che poi, in città, muoversi in bicicletta finisce per essere più veloce che in automobile. Lo sai quante volte, recandomi in ufficio, mi rendo conto di arrivare a destinazione prima io di un automobilista che incrocio e supero tutte le mattine?» Tra città e città usa molto il treno; ma non bisogna pensare a lui come persona dell'Ottocento, perché naturalmente ha la patente di guida e, solo quando è strettamente necessario, si sposta con la sua automobile o con una vecchia Vespa. Ma questi nuovi treni veloci, le frecce, sono molto comodi e sulle carrozze c'è sempre la possibilità di portarsi la propria bici. «La settimana scorsa sono andato per lavoro a Bologna. Fuori dalla stazione, sono salito sulla mia bicicletta per recarmi al luogo dell'appuntamento; lungo il percorso, mi sono fermato per bere un caffè, e mi sono portato la bici dentro il bar». All'espressione di stupore dipinta sul mio viso, risponde alzandosi e rientrando di lì a un attimo con una ruota di bicicletta, di dimensioni abbastanza contenute, che in un secondo si dispiega e rivela di essere una bici in tutto e per tutto. In un battito di ciglia, la ripiega e poi l'apre ancora e la richiude definitivamente.
«Pesa una decina di chili, è comodissima e la porto sempre con me, in treno o nel baule dell'auto».
Lasciandoci, mi fa uscire da una porta diversa da quella per la quale ero entrato; è l'ingresso dell'appartamento vero e proprio e non dello studio. Attraversando il salotto non vedo la televisione, e così, scherzando, gli chiedo se anche quella sia portatile e l'abbia sempre con sé. Mi risponde con un sorriso «No, non ho una televisione portatile. Non abbiamo proprio una televisione, non ne abbiamo mai sentito il bisogno. Per tenermi informato su quello che succede nel mondo, mi basta Internet; per vedere il mondo, mi basta la mia bicicletta».
Esco dalla casa-studio di Marco Passigato con un pensiero in più.

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