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IL FASCINO OSCURO DEI DELITTI IRRISOLTI

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l 2025 giudiziario italiano si è improvvisamente infiammato con la riapertura del caso dell'omicidio di Chiara Poggi, per il quale il condannato, Alberto Stasi, sta scontando una pena di 16 anni di reclusione.
Una vicenda che divide la società in colpevolisti e innocentisti, e lascia nuove perplessità sull'efficacia della Giustizia italiana.
Che opinione possiamo trarne?
In Italia nel 2024 si sono commessi 319 omicidi volontari. In media, quindi, quasi ogni giorno in Italia avviene un'uccisione per i motivi più svariati: vendetta, interesse economico, diatribe passionali, eccetera. Le statistiche ci dicono che il dato sopra citato, comunque mortificante e squallido per una società presunta civile, è migliore nettamente rispetto ad epoche passate, e migliore pure di quanto non si registri in Paesi europei con cui normalmente ci confrontiamo nelle vicende di ogni giorno.
Tra i Paesi europei l'Italia presenta uno degli indici più bassi: 0,54 omicidi ogni 100mila abitanti, a fronte dello 0,86 riscontrato in media nell'Ue. E l'Europa è l'area mondiale più sicura, se si pensa ai mattatoi dell'America centro meridionale (Brasile, Messico e Colombia) o dell'Africa in generale, dove la vita non vale nulla (in entrambi i casi dai 90 ai 110 omicidi annui ogni 100mila abitanti). Ma pure gli USA non scherzano con un tasso di omicidi 10 volte volte superiore all'Italia, e la Russia con un tasso 20 volte superiore.
Con questo non è che la situazione italiana sia confortante, ma almeno non estremamente negativa ai fini di un auto-giudizio. A maggior ragione se si pensa che il picco di omicidi nel Bel Paese fu di 1690 (milleseicentonovanta) nel 1990, quindi con un calo oggi molto significativo di oltre l'80%. Un dato fortemente influenzato dalla flessione di omicidi commessi dalla criminalità organizzata, che rimane la maggiore fucina di delitti. Quel che però colpisce l'opinione pubblica, che coinvolge maggiormente l'utente televisivo o il lettore di giornali, non sono tanto i crimini perpetrati dalla malavita organizzata, quanto gli episodi che vedono malauguratamente protagonisti i "vicini della porta accanto", le persone insospettabili con cui ci relazioniamo ogni giorno. Un atteggiamento spinto non tanto da morbosa curiosità, quanto da spontaneo incredulo stupore. Così il figlio sospettato dell'uccisione di un genitore, la brava ragazza assassinata in casa, la moglie modello che sparisce nel nulla, il minore sparito e ritrovato cadavere giorni dopo, e così via, accendono la passione popolare in una ridda di ipotesi e congetture che farciscono trasmissioni su trasmissioni e giornali a non finire.
Ci sono indubbiamente le molle della pietà e solidarietà popolare a far da catalizzatrici in tutta questa partecipazione, ma parimenti anche il recondito timore che sempre reca con sé una morte, soprattutto se le cause sono avvolte da un alone impenetrabile di mistero, un qualcosa che un giorno si ipotizza potrebbe accadere anche a se stessi o a un proprio familiare. Fu il caso ad esempio di Yara Gambirasio, la sfortunata ragazzina bergamasca che avrebbe potuto essere figlia-sorella-nipote di ciascun cittadino italiano, o, prima di lei, Emanuela Orlandi, sulla cui scomparsa si intrecciano ancor oggi le ipotesi più fantasiose, o la più nota Ylenia Carrisi, figlia di Al Bano, sparita nel nulla durante un viaggio in USA. Ma innumerevoli sono i casi analoghi. E molte indagini riguardanti clamorosi casi di cronaca nera si arenano nel nulla di fatto, ciò che inasprisce lo sconforto dei cittadini.
Com'è possibile che nel terzo millennio, con tecniche sofisticate a disposizione, con illimitati supporti tecnologici, non si riesca a venire a capo di vicende apparentemente non impossibili da chiarire, addirittura talvolta col colpevole palesemente circoscritto a pochi sospettati, come nel caso della grottesca vicenda di Sara Scazzi. Quando ci si trova ad investigare su un caso di omicidio, per scoprire il colpevole è necessario disporre di almeno uno dei seguenti fattori: o una confessione, o un testimone attendibile, o una prova materiale inoppugnabile e definitiva. Per cercare testimoni e prove gli investigatori seguono un percorso che comprende lo studio delle caratteristiche della vittima e l'analisi della scena del crimine, ed in questo si snocciolano le tecniche più varie, più o meno sofisticate, che possano fornire informazioni utili per comprendere la psicologia dell'assassino. Ed è proprio dallo stile investigativo che dipende l'efficacia dell'indagine.
In un'intervista concessa anni fa alla rivista "Panorama", un ex investigatore denunciò in modo pesante le inefficienze delle indagini moderne. A suo dire in Italia mancava l'arte investigativa, il fiuto, l'intuito. Si impiega invece troppa scienza, troppa tecnologia, troppe prove virtuali, che alla lunga distruggono le inchieste e contribuiscono a far rimanere impuniti gli autori dei delitti. Perizie e ricostruzioni virtuali smontate regolarmente da controperizie e contro-ricostruzioni studiate dagli avvocati difensori.
Oggi è facile trovare una giustificazione a tutto. Il risultato? E' sempre quello: il delitto irrisolto, senza colpevole.
Estremamente efficace invece quell'umile maresciallo che, in occasione della strage di Erba, al posto di starsene in ufficio intruppato in una equipe di esperti davanti a venti computer elaboranti dati scientifici e tecnici, se n'è andato tra la gente del quartiere, investigando nei particolari delle vite dei protagonisti, riuscendo a scoprire le prove che portarono all'ergastolo di Olindo Romano e Rosa Bazzi. Quindi come espresso nell'intervista sopra menzionata, e a conferma delle nostre sensazioni di spettatori delle varie storie, in queste vicende che dominano la cronaca manca una indispensabile fantasia investigativa.
D'altronde i Poirot, gli Sherlock Holmes, i commissari Maigret, i Nero Wolfe o i Commissari Montalbano, per giungere ai nostri giorni, sono bei personaggi libreschi e nulla più.
Da noi come si svolge un'indagine? Un esempio. Se due carabinieri in servizio scoprono un cadavere in un'auto, denunciano subito il ritrovamento al comandante della propria stazione. Questi avvisa immediatamente il Pubblico Ministero della Procura della Repubblica. Questi può delegare le indagini alla Polizia del commissariato del paese vicino al luogo dell'omicidio, oppure alla Polizia Giudiziaria della Procura da cui egli dipende, che possono essere i Carabinieri o la Polizia medesima. Questi chiederanno se necessario l'ausilio dell'Ufficio di Polizia Scientifica, il famoso Ris (Raggruppamento Investigazioni Scientifiche dei carabinieri) avente sedi a Parma e Messina. In definitiva le indagini possono essere condotte da un organo investigativo (Polizia o Carabinieri) di una stazione avente poco o nulla dimestichezza con l'omicidio, supportati dalle risorse tecnologiche del RIS, su cui si ripone spesso un'eccessiva aspettativa per la soluzione dei casi.
Per quanto riguarda i gradi: il Commissario è un grado di dirigente della Polizia di Stato , in genere a capo di un Commissariato di zona o di un'articolazione dipendente dalla locale Questura (nei carabinieri corrisponderebbe al tenente o capitano); l'Ispettore è quello che un tempo veniva chiamato Maresciallo, è una figura presente sia nella Polizia di Stato che nei Carabinieri (per dirla militarmente, è un sottufficiale); l'Investigatore non è un grado, ma un ruolo , che può essere ricoperto da chiunque, nella Polizia e nei Carabinieri, e che indaga per ordine di servizio, di iniziativa o su delega, su un determinato avvenimento.
Ma torniamo a noi, all'Italia, Paese dei casi irrisolti o dei processi riaperti dopo decenni grazie alla comparsa di nuove ipotetiche prove stucchevolmente trascurate all'accadimento dei fatti. Da noi la cronaca sembra destinata a diventare sempre più spesso una storia. Una Storia, con la "S" maiuscola, che molte volte non ha una soluzione. Sono tanti infatti i misteri italiani irrisolti senza un mandante, senza colpevoli, dove i poteri politici e militari si sono mescolati con la malavita, con presunti servizi segreti deviati e con presunti esponenti del Vaticano coinvolti, eccetera. Dal caso del banchiere Calvi trovato impiccato sotto un ponte a Londra, al caso Sindona, avvelenato in carcere da un caffè quando si stava per scoperchiare il mondo colluso di politica e finanza criminale; dal caso Mattei, presidente dell'Eni fatto esplodere col suo aereo, a quello Pecorelli, il giornalista assassinato a cui si sono insistentemente associati i nomi di noti personaggi di governo.
Un muro di gomma, per usare un termine già noto alla cinematografia italiana. Ma a questi intricati fatti di cronaca diventati Storia senza soluzione, veri e propri "delitti di Stato", se ne sono aggiunti e se ne aggiungono via via sempre altri, molto più semplici, che sono passati o rischiano pure essi di passare alla storia come i nuovi misteri, irrisolti o conclusi con condanne poco convincenti: i casI attualissimi di Garlasco e di Liliana Resinovich (improvvisamente, dopo mesi, oggi è il marito indagato), il caso Meredith Kercher, quello di Simonetta Cesaroni, e tanti altri ben presenti nella nostra memoria anche se il tempo ne vela il ricordo. La sensazione è che non ci si trovi di fronte a "delitti perfetti". Di solito non si ha a che fare con atti criminosi ben pianificati da menti diaboliche come nei delitti premeditati dei thriller televisivi, ma ad uccisioni altamente imperfette ed occasionali, che a maggior ragione dovrebbero permettere un'interpretazione. Manca probabilmente, come sopra detto, un metodo efficace di lettura, un percorso meno affidato alle virtuali ricostruzioni tecnologiche, e più orientato all'intuito, all'indagine e al contatto con la gente. Ad una società critica, fortemente delusa per la mancata soluzione di troppi casi, occorre rispondere con nuovi ruoli specializzati in criminologia, confrontandosi con i sistemi investigativi più efficaci e rodati dei nostri. Non che nelle altre nazioni si ottenga molto più che da noi, ma che almeno si attinga una procedura investigativa più completa e professionale. La tecnologia poi, in mani acute ed esperte, sarà sempre fondamentale. I cosiddetti cold case (casi freddi), cioè archiviati irrisolti da lunga data, potranno riservare insperate soluzioni, come nel caso del delitto dell'Olgiata? Ricordiamo infatti come la contessa Alberica Filo della Torre fu rinvenuta strangolata nel 1991 e la soluzione del mistero giunse nel 2011, vent'anni dopo, grazie all'analisi di tracce di DNA a quei tempi non elaborabili. Il colpevole, il cameriere filippino, fu smascherato e confessò il delitto. E, diciamocelo, in cuor nostro si spera sempre che un colpo di scena squarci improvvisamente uno di quei muri di gomma impenetrabili sopra menzionati. Fu il caso ad esempio della confessione di Leonardo Marino, che in una crisi di coscienza denunciò l'autore (Bompressi) e i mandanti (Sofri e Pietrostefani) dell'omicidio del commissario Calabresi avvenuta 16 anni prima, uno dei fatti di sangue più dolorosi della storia italiana che mai si sarebbe potuto risolvere. Un giorno conosceremo la verità sull'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, o l'autore dell'omicidio di Martin Luther King, due tra i cento grandi casi irrisolti della Storia? La speranza di verità è sempre l'ultima a morire.

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